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Siamo psicoterapeuti sistemico relazionali. La nostra attenzione professionale si concentra sulle relazioni che rappresentano il canale attraverso cui costruiamo e scopriamo noi stessi nel meraviglioso intreccio di storie e di vissuti che nutrono il quotidiano e raccontano di ognuno di noi.

lunedì 17 febbraio 2014

Perché lo psicologo fa paura?




Ammettere le proprie debolezze e le proprie fragilità non è facile. Ancora oggi, nonostante la psicologia si sia più o meno definitivamente liberata di quel marchio di scienza dei matti, lo psicologo è spesso l’ultimo specialista al quale ci si rivolge in caso di malessere. Riconoscere un problema, ammettere una sofferenza psichica o emotiva è già un passo importante verso la sua risoluzione, ma la vera difficoltà sta nel chiedere aiuto ed è qui che lo psicologo finisce negli ultimi posti dell’elenco delle persone a cui generalmente ci si rivolge.
Non capita di rado che durante il primo incontro di consultazione psicologica, le persone parlino delle richieste di aiuto effettuate in precedenza e si evidenzia una netta preponderanza di visite mediche, anche specialistiche. Succede che durante questo primo incontro inizino a parlare del loro peregrinare tra i vari specialisti, finché non hanno maturato in loro stessi la possibilità di rivolgersi ad uno psicologo. Ed anche qui, sono passate settimane, se non addirittura mesi, prima di trovare il coraggio di farlo.

La domanda del secolo ora è: perché è così difficile chiedere aiuto psicologico ad uno psicologo?
Le risposte sono tante, ma faremo una sintesi.
Uno tra i primi motivi è che è più facile dire di non averne bisogno che ammettere che da soli non sempre ce la si può fare. Non dimentichiamo la vergogna per aver fallito, per dover ammettere a se stessi e agli altri di avere un problema. Non è raro che alcune persone, una volta presa consapevolezza della necessità di rivolgersi ad uno psicologo, ci vadano di nascosto.
Inoltre le persone non sono sempre disposte a fidarsi di un estraneo e sperano ancora che il migliore amico di sempre possa dargli una mano. Un amico va certamente bene per consolare, e fornire una spalla su cui piangere al momento del bisogno, ma non dispone di strategie, tecniche e stili comunicativi che il professionista ha acquisito con lo studio e il lavoro sul campo e soprattutto è importante tenere a mente che il rapporto con lo psicologo è scevro dai fattori emotivi tipici dell’amicizia.

Ancora, è più facile andare dal medico di base che ci conosce da anni e che può prescrivere una  pillolina magica che per qualche tempo terrà a bada il malessere e non ci costringerà a lavorare sul livello di ingestibilità a cui è giunta la nostra vita e per un po’ il senso di fallimento verrà messo da parte. L’idea di poter cancellare il problema in tempi brevi assumendo una medicina è di per sé certamente allettante.

Ultimo, ma non meno importante: benché siamo nel 2013 molte persone sono ancora frenate da pregiudizi e stereotipi sulla funzione e l’utilità di questo tipo di intervento. Credere di essere etichettati come “malati” o “pazzi” è un forte deterrente.

Possiamo però rassicurare chiunque avesse ancora dei dubbi ed asserire con ragionevole certezza che chi va dallo psicologo non è “matto”, anzi, ha fatto un passo importante verso la risoluzione dei suoi problemi. Per onestà dobbiamo però anche dire che non sempre la strada migliore è “cancellare” i problemi, ma è auspicabile imparare a conviverci gestendoli in una maniera più sana. I percorsi psicologici/psicoterapeutici non rappresentano una forma di dipendenza (come quella che si può istaurare tramite l’assunzione di alcuni farmaci), ma la costruzione di una relazione significativa nella quale sviluppare e rafforzare i propri strumenti per affrontare autonomamente le difficoltà.
Lo psicologo deve essere una figura di riferimento con la quale stabilire un rapporto empatico e non giudicante, basato sulla fiducia reciproca, che aiuta le persone ad attivare le proprie risorse interiori per risolvere i problemi o cerca di svilupparne altre e nel caso questo non sia possibile, le aiuta ad accettare le cose che non si possono cambiare.

dott.ssa Marianna Padovano

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