Ammettere le proprie debolezze e le proprie
fragilità non è facile. Ancora oggi, nonostante la psicologia si sia più o meno
definitivamente liberata di quel marchio di scienza dei matti, lo psicologo è spesso l’ultimo specialista al
quale ci si rivolge in caso di malessere. Riconoscere un problema, ammettere
una sofferenza psichica o emotiva è già un passo importante verso la sua
risoluzione, ma la vera difficoltà sta nel chiedere aiuto ed è qui che lo
psicologo finisce negli ultimi posti dell’elenco delle persone a cui
generalmente ci si rivolge.
Non
capita di rado che durante il primo incontro di consultazione psicologica, le
persone parlino delle richieste di aiuto effettuate in precedenza e si
evidenzia una netta preponderanza di visite mediche, anche specialistiche.
Succede che durante questo primo incontro inizino a parlare del loro peregrinare
tra i vari specialisti, finché non hanno maturato in loro stessi la possibilità
di rivolgersi ad uno psicologo. Ed anche qui, sono passate settimane, se non
addirittura mesi, prima di trovare il coraggio di farlo.
La domanda del secolo ora è: perché è così difficile chiedere aiuto psicologico ad uno psicologo?
Le risposte sono tante, ma faremo una sintesi.
Uno tra i primi motivi è che è più facile dire di
non averne bisogno che ammettere che da soli non sempre ce la si può fare. Non
dimentichiamo la vergogna per aver fallito, per dover ammettere a se stessi e
agli altri di avere un problema. Non è raro che alcune persone, una volta presa
consapevolezza della necessità di rivolgersi ad uno psicologo, ci vadano di
nascosto.
Inoltre le persone non sono sempre disposte a
fidarsi di un estraneo e sperano ancora che il migliore amico di sempre possa
dargli una mano. Un amico va certamente bene per consolare, e fornire una
spalla su cui piangere al momento del bisogno, ma non dispone di strategie,
tecniche e stili comunicativi che il professionista ha acquisito con lo studio
e il lavoro sul campo e soprattutto è importante tenere a mente che il rapporto
con lo psicologo è scevro dai fattori emotivi tipici dell’amicizia.
Ancora, è più facile andare dal medico di base che ci
conosce da anni e che può prescrivere una pillolina magica che per qualche tempo terrà a
bada il malessere e non ci costringerà a lavorare sul livello di ingestibilità
a cui è giunta la nostra vita e per un po’ il senso di fallimento verrà messo
da parte. L’idea di poter cancellare il problema in tempi brevi assumendo una
medicina è di per sé certamente allettante.
Ultimo, ma non meno importante: benché siamo nel
2013 molte persone sono ancora frenate da pregiudizi e stereotipi sulla
funzione e l’utilità di questo tipo di intervento. Credere di essere
etichettati come “malati” o “pazzi” è un forte deterrente.
Possiamo però rassicurare chiunque avesse ancora
dei dubbi ed asserire con ragionevole certezza che chi va dallo psicologo non è
“matto”, anzi, ha fatto un passo importante verso la risoluzione dei suoi
problemi. Per onestà dobbiamo però anche dire che non sempre la strada migliore
è “cancellare” i problemi, ma è auspicabile imparare a conviverci gestendoli in
una maniera più sana. I percorsi psicologici/psicoterapeutici non rappresentano
una forma di dipendenza (come quella che si può istaurare tramite l’assunzione
di alcuni farmaci), ma la costruzione di una relazione significativa nella
quale sviluppare e rafforzare i propri strumenti per affrontare autonomamente
le difficoltà.
Lo psicologo deve essere una figura di riferimento
con la quale stabilire un rapporto empatico e non giudicante, basato sulla
fiducia reciproca, che aiuta le persone ad attivare le proprie risorse
interiori per risolvere i problemi o cerca di svilupparne altre e nel caso
questo non sia possibile, le aiuta ad accettare le cose che non si possono
cambiare.
dott.ssa Marianna Padovano
dott.ssa Marianna Padovano
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