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Guidonia Montecelio, Roma, Italy
Siamo psicoterapeuti sistemico relazionali. La nostra attenzione professionale si concentra sulle relazioni che rappresentano il canale attraverso cui costruiamo e scopriamo noi stessi nel meraviglioso intreccio di storie e di vissuti che nutrono il quotidiano e raccontano di ognuno di noi.

giovedì 20 marzo 2014

Primavera ed effetti sull’umore



“Primavera non bussa, lei entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura; ha le labbra di carne, i capelli di grano. Che paura, che voglia che ti prenda per mano; che paura, che voglia che ti porti lontano”.
Fabrizio De André.


E’ tempo di primavera, tempo di svegliarsi dal lungo inverno, di uscire all’aria aperta e percepirsi più desiderosi di affrontare la propria quotidianità.
Con l’arrivo della bella stagione aumentano le ore di luce, le giornate si allungano e le temperature si innanzano, e con esse aumentano anche i valori degli ormoni che regolano il tono dell’umore (dopamina e serotonina) e quelli che regolano la sessualità (testosterone e feromoni).  Il letargo dei sensi avvenuto nell’inverno finisce e si è più predisposti a sentirsi attratti dal mondo circostante poiché si riattivano tutti i nostri sensi.
In primavera ed in estate, le ore di luce e le temperature più calde in più hanno infatti un effetto euforizzante e antidepressivo.
Potendo uscire di più, beneficiando della luce e delle gradevoli temperature, ci si avverte anche meno stressati, o perlomeno si ha la sensazione di tollerare meglio lo stress, per cui si è più predisposti a relazionarsi al prossimo con un sorriso e ad essere produttivi nel lavoro e nella vita sociale.
Il poter godere di più ore di libertà fuori dalle mura domestiche, dove per effetto dell’inverno si sono trascorse molte giornate, ha un effetto rivitalizzante. Ci si prepara a presentarsi al mondo, ci si lava e cura di più e di conseguenza ci si avverte e ci si presenta come più gradevoli, scatenando un’immediata reazione di attrazione reciproca da parte degli appartenenti alla nostra specie. E’ probabilmente per tutti questi motivi che si dice in giro che la primavera sia la stagione che vede fiorire più amori.
E’ in questa fase di rivitalizzazione e di risveglio dei propri sensi che si entra anche maggiormente in contatto con la propria sensualità, oltrepassando i rigidi schemi della mente e affidandosi principalmente all’istinto che consente una maggiore libertà espressiva e un ascolto incondizionato dei propri bisogni e desideri e di quelli degli altri. Le persone che ascoltano e che sono più sorridenti e propositive sono intrinsecamente più attraenti poiché capace di manifestare e trasmettere serenità.
Dobbiamo precisare che queste non sono leggi universali, ma che molto dipende dall’umore di base delle persone. A seconda di questo, infatti si può avvertire o meno il cambiamento: persone molto resistenti resteranno indifferenti all’arrivo della nuova stagione, altre addirittura ne attenderanno con ansia la fine.

In linea di massima, se si ha un tono umorale stabile, possiamo cogliere i segnali positivi che ci arrivano con queste belle giornate e migliorare la nostra quotidianità.

lunedì 10 marzo 2014

La terapia ha un fine e una fine

Una delle cose che ho ben chiare all’inizio di un percorso terapeutico è che un giorno (mi auguro non troppo lontano), in quella stessa stanza ci saranno dei saluti. Un commiato, forse tra lacrime, forse tra sorrisi.. addirittura ci potrà scappare un abbraccio. E sarà l’epilogo di una terapia, il finale cominciato a scrivere sin dall’inizio in un lavoro fatto assieme.
All’inizio della mia esperienza da terapeuta mi chiedevo come avrei potuto aiutare una persona a risolvere in un po’ di mesi dei problemi che si portava dentro da anni, anche venti, anche trent’ anni.. Una terapia all’inizio è tutta improntata sul problema, che impregna la stanza, aleggia come un fantasma sulle teste dei presenti, prende tutto il tempo.. l’idea sottostante è che quella terapia potrebbe essere infinita perché quel problema in pochi mesi non se ne andrà mai. Man mano che passa il tempo, il problema diventa meno presente e lascia spazio alla persona, alla possibilità di vedersi, e riconoscersi come tale, senza il suo pesante fardello. E la terapia non sembra più infinita, ma possibile. Così come sembra possibile che il problema non sia più tale.

Con questo mio breve scritto vorrei smitizzare il mito della terapia infinita, quella che il più delle volte ci propina la Tv, col paziente ansioso, insicuro e problematico che da anni ha un appuntamento fisso il mercoledì mattina, prima di andare a lavoro, col suo analista del quale non riesce a fare a meno.
La terapia sistemico relazionale, l’approccio seguito come psicoterapeuta e che è il filo comune dei professionisti dello Studio Psicologico Anemos, la persona viene inquadrata all’interno del suo  “sistema”, del contesto in cui vive, della rete familiare, amicale, lavorativa.. in definitiva, le sue relazioni. Non si tratta quindi di una terapia mirata alla remissione di un sintomo a seguito della messa in atto di specifiche tecniche e strategie ma allo studio delle situazioni relazionali che lo hanno generato. Il fine della terapia è quello di trovare modalità relazionali diverse con i sistemi di appartenenza.
Durante una psicoterapia sistemica il terapeuta guida la persona in una lettura alternativa del proprio stato di disagio così da provocare un cambiamento. A sua volta la persona trova, assieme al terapeuta, nuovi modi di pensarsi, pensare, relazionarsi e comunicare, e acquisisce la capacità di decodificare le proprie emozioni e quelle altrui, riuscendo a dare una lettura emotiva a ciò che gli sta dentro e intorno.

Ho avuto la “fortuna” di privilegiare ad altri approcci basati sull’individuo, quello sistemico che, oltre a prendere in considerazione la persona nel suo sistema di appartenenza, mi consente di lavorare coi sistemi. Questo è fantastico! Il sistema è l’espressione massima del disagio e della salute, è tutto ciò che attiene alla vita di una persona, è eros e thanatos, è la fonte del malessere ed è l’unico posto in cui si possono ricercare le risorse. Questo inquadramento teorico e pratico mi consente di lavorare quindi anche con coppie e con famiglie dove il mio compito è quello di intervenire sulle diversi parti del sistema, cercando di migliorare le sequenze comunicative tra i componenti e di ripristinare l'equilibrio della coppia o della famiglia. 


dott.ssa Marianna Padovano

mercoledì 26 febbraio 2014

Quando richiedere l’aiuto dello psicologo - psicoterapeuta e miti da sfatare

“Se quando stiamo male sappiamo a chi dirlo siamo fortunati”
(W. Di Gemma)



Sebbene corra l’anno 2014, la figura professionale dello psicologo è ancora percepita come il “dottore dei matti”, colui a cui ricorrere soltanto in caso di strane patologie mentali, di depressioni gravi e chissà quant’altro.
In realtà lo psicologo può aiutare in casi meno complessi, nei momenti di disagio, quando cioè si avverte un malessere dovuto a problemi familiari, difficoltà lavorative, lutti. E in tutte quelle situazioni in cui si ha difficoltà a riconoscere e gestire delle emozioni spiacevoli che creano disagio.

Lo psicologo mette a disposizione competenze teoriche e tecniche, lavora assieme alla persona per rafforzare le sue capacità di gestire determinate problematiche, offre comprensione empatica, non giudica ma accetta a persona per quello che è.
E’ però alla persona che spetta il compito più impegnativo: usare gli strumenti forniti dallo psicologo per vivere al meglio la propria vita.
Lo psicologo non può fare psicoterapia, per cui si limiterà a degli incontri di consulenza e supporto psicologico e sarà egli stesso che valuterà la necessità di un intervento psicoterapeutico che dovrà delegare ad un collega Psicoterapeuta.

Vi sono vari approcci di psicoterapia e la ricerca del professionista “giusto” dovrebbe essere mirata anche a trovare l’approccio migliore per le proprie necessità.
Gli approcci teorici in Psicoterapia sono davvero tanti e generalmente chi cerca un terapeuta non è a conoscenza degli stessi e delle loro differenze.
Facciamo un brevissimo riassunto: coloro che vogliono fare chiarezza sul proprio passato, la propria storia, le proprie dinamiche evolutive interiori, potrebbero essere interessati ad un approccio di tipo Psicodinamico, Psicanalitico.
Coloro che non sono interessati al proprio passato ma vogliono cambiare modo di comportarsi e di pensare nel presente potrebbero essere interessati ad un appoccio di tipo Cognitivo, Comportamentale o Strategico.
Coloro che vogliono lavorare non solo individualmente ma anche sulle proprie relazioni familiari, potrebbero scegliere un approccio di tipo Sistemico Relazionale.

Una volta valutata la possibilità di rivolgersi allo psicologo, bisogna sceglierlo tra i tanti e contattarlo.
Come si fa?
Per prima cosa bisognerà raccogliere un po’ di nominativi tramite vari canali: medico di base, passa parola, internet, giornali, pagine gialle, pubblicità…
Ogni psicologo afferisce all’Ordine Nazionale degli Psicologi (www.psy.it) e a quello regionale e le liste sono pubbliche e consultabili.  

Se uno psicologo è anche terapeuta, negli elenchi dell’Ordine questo sarà specificato.


Il secondo passo sarà quello di contattarlo, tramite email, telefono, e sottoporre il proprio caso e ovviamente anche cercare di togliersi i principali dubbi in merito al percorso da intraprendere, in primis il costo delle sedute.
Uno dei maggiori deterrenti nel ricorso a delle cure psicologiche è il costo delle sedute; è infatti un grosso mito da sfatare proprio quello che le sedute di psicoterapia siano molto care, quindi da evitare.

Il costo che un colloquio psicologico può avere è piuttosto variabile.
Il D.L. 4/7/2006 n. 233 c.d. (Decreto Bersani) ha abolito la tariffa minima per le prestazioni psicologiche.

Gli ordini regionali degli psicologi forniscono comunque delle indicazioni orientative sui costi delle prestazioni psicologiche. Alla voce “seduta di consulenza e/o sostegno psicologico individuale” corrisponde una tariffa minima di 35 euro e massima di 115.
In ogni caso, il professionista psicologo psicoterapeuta è tenuto ad informare il cliente in dettaglio su costi e durata (orientativa) del percorso.

Una volta contattato e conosciuto di persona lo psicologo è bene cercare di capire se si è trovata la persona giusta per il proprio disagio, per le proprie emozioni, e anche per le proprie tasche.
Uno psicologo/psicoterapeuta “bravo” per alcuni può non esserlo per altri. La scelta è assolutamente personale, deve scattare la scintilla per scegliersi, per trovarsi a proprio agio, per potersi affidare.

Fermo restando che si tratta sempre di persone professionalmente valide e competenti, non possiamo in questo breve scritto orientare la scelta, poiché l’empatia, la fiducia e l’ascolto sono sensazioni che vanno provate e vissute personalmente.

dott.ssa Marianna Padovano

lunedì 17 febbraio 2014

Perché lo psicologo fa paura?




Ammettere le proprie debolezze e le proprie fragilità non è facile. Ancora oggi, nonostante la psicologia si sia più o meno definitivamente liberata di quel marchio di scienza dei matti, lo psicologo è spesso l’ultimo specialista al quale ci si rivolge in caso di malessere. Riconoscere un problema, ammettere una sofferenza psichica o emotiva è già un passo importante verso la sua risoluzione, ma la vera difficoltà sta nel chiedere aiuto ed è qui che lo psicologo finisce negli ultimi posti dell’elenco delle persone a cui generalmente ci si rivolge.
Non capita di rado che durante il primo incontro di consultazione psicologica, le persone parlino delle richieste di aiuto effettuate in precedenza e si evidenzia una netta preponderanza di visite mediche, anche specialistiche. Succede che durante questo primo incontro inizino a parlare del loro peregrinare tra i vari specialisti, finché non hanno maturato in loro stessi la possibilità di rivolgersi ad uno psicologo. Ed anche qui, sono passate settimane, se non addirittura mesi, prima di trovare il coraggio di farlo.

La domanda del secolo ora è: perché è così difficile chiedere aiuto psicologico ad uno psicologo?
Le risposte sono tante, ma faremo una sintesi.
Uno tra i primi motivi è che è più facile dire di non averne bisogno che ammettere che da soli non sempre ce la si può fare. Non dimentichiamo la vergogna per aver fallito, per dover ammettere a se stessi e agli altri di avere un problema. Non è raro che alcune persone, una volta presa consapevolezza della necessità di rivolgersi ad uno psicologo, ci vadano di nascosto.
Inoltre le persone non sono sempre disposte a fidarsi di un estraneo e sperano ancora che il migliore amico di sempre possa dargli una mano. Un amico va certamente bene per consolare, e fornire una spalla su cui piangere al momento del bisogno, ma non dispone di strategie, tecniche e stili comunicativi che il professionista ha acquisito con lo studio e il lavoro sul campo e soprattutto è importante tenere a mente che il rapporto con lo psicologo è scevro dai fattori emotivi tipici dell’amicizia.

Ancora, è più facile andare dal medico di base che ci conosce da anni e che può prescrivere una  pillolina magica che per qualche tempo terrà a bada il malessere e non ci costringerà a lavorare sul livello di ingestibilità a cui è giunta la nostra vita e per un po’ il senso di fallimento verrà messo da parte. L’idea di poter cancellare il problema in tempi brevi assumendo una medicina è di per sé certamente allettante.

Ultimo, ma non meno importante: benché siamo nel 2013 molte persone sono ancora frenate da pregiudizi e stereotipi sulla funzione e l’utilità di questo tipo di intervento. Credere di essere etichettati come “malati” o “pazzi” è un forte deterrente.

Possiamo però rassicurare chiunque avesse ancora dei dubbi ed asserire con ragionevole certezza che chi va dallo psicologo non è “matto”, anzi, ha fatto un passo importante verso la risoluzione dei suoi problemi. Per onestà dobbiamo però anche dire che non sempre la strada migliore è “cancellare” i problemi, ma è auspicabile imparare a conviverci gestendoli in una maniera più sana. I percorsi psicologici/psicoterapeutici non rappresentano una forma di dipendenza (come quella che si può istaurare tramite l’assunzione di alcuni farmaci), ma la costruzione di una relazione significativa nella quale sviluppare e rafforzare i propri strumenti per affrontare autonomamente le difficoltà.
Lo psicologo deve essere una figura di riferimento con la quale stabilire un rapporto empatico e non giudicante, basato sulla fiducia reciproca, che aiuta le persone ad attivare le proprie risorse interiori per risolvere i problemi o cerca di svilupparne altre e nel caso questo non sia possibile, le aiuta ad accettare le cose che non si possono cambiare.

dott.ssa Marianna Padovano

mercoledì 5 febbraio 2014

La psicoterapia spiegata ad una bambina

"Il mio lavoro è proprio questo: di costruire storie nuove insieme alle persone che vengono da me nella speranza che le paure delle storie vecchie possano passare e che la persona possa dire ‘che stupida sono stata a vedermi così’".. 

Non avremmo saputo dirlo meglio. Consigliamo questo articolo del Prof. Ruggero Piperno, semplice, chiaro, attuale, alla portata di 
tutti. 


http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/05/psicoterapia-spiegata-a-mia-nipote-di-5-anni/616645/

mercoledì 29 gennaio 2014

Gruppi di Parola per figli di genitori separati




Finalmente siamo pronti per cominciare.

Lo studio c'è, i materiali anche, i professionisti pronti a collaborare non mancano mai... possiamo cominciare con questa nuova avventura, per dar voce a loro, i bambini.
Ai bambini che vivono la separazione dei/dai propri genitori.
per qualsiasi informazione, ecco il volantino

http://www.studiopsicologicoanemos.it/volantinogruppiparola.pdf

venerdì 8 novembre 2013

Dall’ansia si può guarire


Dal titolo di questo articolo non manca il punto di domanda, perché non è una domanda. E’ un’affermazione: dall’ansia e dalle sue molteplici manifestazioni nella nostra vita quotidiana si può guarire. Possiamo liberarci da quella che dai pazienti stessi viene definito “il male del secolo” e che è in netto aumento anche nei paesi in via di sviluppo. Non si tratta di un disclaimer pubblicitario e l’intento di chi scrive non è quello di vendere una miracolosa e magica sostanza che guarisca dal male,  ma l’intento è quello di promuovere una ricerca del benessere psicologico, del proprio benessere, dello stare bene.
L’ansia è uno stato comune a tutti, tutti noi la conosciamo, poiché ci accompagna nel quotidiano nell’affrontare gli impegni e le responsabilità di tutti i giorni. E’ anche utile perché permette di adattarsi al mondo esterno e ai suoi cambiamenti. Soglie molto alte di ansia, invece sono un campanello d’allarme che ci avverte che ci troviamo in una fase difficoltosa dalla quale non riusciamo ad uscire, un momento molto stressante e di grave empasse.
Oggi tratteremo un disturbo d’ansia molto comune, il cosiddetto attacco di panico (DAP – Disturbo da attacco di panico, dal DSM-IV Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) è la manifestazione psicopatologica più comune legata all’ansia e costituisce la manifestazione in assoluto più violenta in cui si scatenano veri e propri sintomi ansiosi in un breve arco di tempo.
L’attacco di panico è una manifestazione psicopatologica di cui attualmente si parla molto, perché molto comune. Crediamo che fosse comune anche in passato ma probabilmente non ne veniva fatta una corretta diagnosi, poiché a causa dei suoi sintomi, molto simili ad un disturbo fisico, può non essere facilmente identificabile.
I pazienti che si rivolgono ad uno psicologo manifestando sintomi tipici di DAP o problemi di ansia in genere, solitamente hanno una storia clinica ampia alle spalle e un iter medico travagliato: dal pronto soccorso, al medico di base, fino a specialisti come neurologi e cardiologi. I sintomi di un attacco di panico sono molto simili a delle reali patologie fisiche: si manifestano infatti sudorazione, palpitazione, difficoltà respiratorie, tremori, vertigini, senso di soffocamento, sensazione di svenimento. I pazienti durante l’attacco avvertono la sensazione di correre un grave rischio per la salute e riferiscono di aver creduto di stare per morire.
Generalmente il primo attacco di panico nella vita di una persona si manifesta inaspettatamente, per cui ci si spaventa molto perché si ha la sensazione di perdere il controllo della propria persona e di essere in balia di qualcosa di più grande che inevitabilmente porterà alla perdita di coscienza o alla morte. Quando diciamo che comincia senza preavviso intendiamo dire che un attacco di panico potrebbe insorgere anche mentre si svolgono attività relativamente tranquille e quotidiane come guidare o stare seduti a un tavolo.
Non è l’attacco di panico ad essere pericoloso di per sé (a meno che non si perda il controllo e ci si trovi in una situazione potenzialmente pericolosa), poiché si tratta di episodi passeggeri. Sono pericolosi gli effetti sulla vita sociale delle persone che può deteriorarsi o portare ad altre complicazioni, come la depressione, l’abuso di psicofarmaci e l’incapacità di affrontare il mondo esterno.
L’attacco di panico è fondamentalmente la paura di aver paura, la paura di morire, la paura di impazzire.  Le persone che ne soffrono  tendono ad associare e a spiegare il panico con il luogo e le condizioni in cui questo si verifica: se si è verificato mentre erano alla guida di un automobile, è probabile che smetteranno di guidare. Lo stesso, eviteranno cibi e bevande di un certo tipo, oppure non andranno più in determinati luoghi.
Le condizioni possono essere molto diverse tra loro, anche se spesso l’attacco di panico si manifesta quando il paziente si sente costretto in una certa situazione come un mezzo di trasporto, la metropolitana, l’aereo, la macchina, o situazioni che sembrano costringere in uno stato senza via di uscita come un ingorgo o un posto chiuso, o al contrario, in ambienti aperti in cui ci si sente spaesati e senza punti di riferimento.  

Esiste una terapia per gli attacchi di panico? Il primo passo che spetta ad una persona affetta da attacchi di panico è quello di chiedere aiuto ad uno specialista, sia esso medico (possibilmente specializzato in disturbi mentali) o psicoterapeuta. E’ indispensabile che vi sia una diagnosi, e una decisione condivisa sulle modalità di intervento. Bisogna mettere in gioco se stessi e la propria ansia ed affidarsi al professionista per venire a capo del disagio che ha provocato gli attacchi. La psicoterapia è un percorso tortuoso e anche doloroso, ma può nel tempo favorire una elaborazione del proprio malessere e una graduale risoluzione del problema.